Conosciamo i nostri eroi: Giovanni Falcone

Conosciamo i nostri eroi: Giovanni Falcone

Da quel 23 maggio di esattamente 25 anni fa, cosa è cambiato?

Quel giorno a Capaci cadde un fedele servitore dello Stato insieme a tre uomini di scorta: Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, nonché la moglie di Falcone, il Magistrato Francesca Morvillo. L’evento è passato alla storia come la strage di Capaci.

Giovanni Salvatore Augusto Falcone nacque a Palermo il 18 maggio del 1939.

Un figlio fiero e onesto della Sicilia.

Il padre Arturo (1904-1976) era direttore del laboratorio chimico di igiene e profilassi del comune di Palermo. La madre Luisa Bentivegna (1907-1982) era anch’ella di famiglia benestante, figlia di un noto ginecologo palermitano.

Giovanni inizio gli studi alle scuole elementari al Convitto Nazionale di Palermo. Frequentò le medie alla scuola “Giovanni Verga”. Per le superiori fu mandato dai genitori al liceo classico “Umberto I”. Era un assiduo frequentatore della Parrocchia e aderì all’Azione Cattolica.

Durante l’adolescenza si appassionò al ping-pong, che praticava in Parrocchia. Ebbe modo di incontrare in ambito di giocose sfide al tavolo Tommaso Spataro e Tommaso Buscetta, personaggi che iniziavano a frequentare ambienti malavitosi della città.

Nel 1957, dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti, vinse il concorso per entrare all’Accademia Navale di Livorno. In pochi mesi emerse la sua attitudine al comando e fu assegnato allo Stato Maggiore. Ben presto Giovanni Falcone si accorse che la carriera militare non faceva per lui. Si congedò iscrivendosi a Giurisprudenza all’Università di Palermo in cui si laureò nel 1961.

L’ingresso in Magistratura

Nel 1964 Falcone partecipò e vinse il concorso per l’ingresso in magistratura, e lo stesso anno sposò la maestra elementare Anna Bonnici.

Nel 1976 si avvicinò alle posizioni del Comunismo sociale propugnate da Enrico Berlinguer., nonostante la sua famiglia avesse sempre votato Democrazia Cristiana. Motivò la sua scelta con la propria propensione verso un eguaglianza sociale di fondo.

Dopo essersi occupato del comparto Civile del Tribunale, con sentenze di grande importanza, fu trasferito alla sezione Istruzione. Lo raggiunse  presto Paolo Borsellino. In questa mansione ebbe modo di approfondire la conoscenza e la lotta alle organizzazioni criminali.

Da quel momento e per tutti gli anni successivi fu un crescendo di successi e di approfondimenti sulla Mafia. Passò attraverso le vicende più importanti della vita repubblicana del nostro paese con il caso Sindona, in cui fu determinante, e durante l’ascesa dei Corleonesi.

Fu allora creato il pool antimafia, che tanti successi ha raggiunto fino ad arrivare al termine delle indagini e al famoso Maxi processo di Palermo.

L’opposizione dei colleghi

Nel frattempo però Falcone fu in un certo senso messo ai margini della Magistratura. Nel momento in cui il capo del pool Caponnetto andò in pensione fu eletto a sostituirlo Antonino Meli. La mancata nomina di Falcone lo mise in posizione di maggiore esposizione nei confronti della Mafia. Per Giovanni Falcone votò anche il futuro Procuratore di Palermo, Gian Carlo Caselli. E lo fece in dissenso col suo gruppo Magistratura Democratica.

Nel 1986 Falcone sposa il Magistrato Francesca Morvillo, con nozze ufficiate da Leoluca Orlando e con Caponnetto in qualità di uno dei testimoni.

Il 21 giugno del 1989 Giovanni Falcone fu vittima di un tentativo di attentato in cui la Mafia tentò di ucciderlo con 50 candelotti di dinamite in una villa affittata dal giudice per le vacanze, a Addaura.

In seguito all’attentato Falcone fece emergere il problema dei Servizi Segreti deviati che portò alla condanna del funzionario del Sisde, Bruno Contrada.

La Stagione dei Veleni

Si scatena a questo punto la Stagione dei Veleni. In questo periodo si assiste alla lotta tra magistrati e con politici che tentavano di screditarsi l’uno con l’altro. Nel corso della trasmissione Samarcanda condotta da Michele Santoro, Totò Cuffaro si scaglio violentemente contro i magistrati della fazione di Falcone, rei a suo giudizio di assumere loro stessi atteggiamenti mafiosi. Uno dei più strenui oppositori di Falcone in quegli anni fu Leoluca Orlando.

Nel frattempo Falcone e Borsellino portano avanti con successo la lotta contro i Corleonesi e il loro capo Totò Riina.

Sul fronte politico, la vicinanza del magistrato alle posizioni del socialista Claudio Martelli scatena critiche su Falcone.

La strage di Capaci

Il 23 maggio 1992  il boss Raffaele Ganci seguiva tutti i movimenti del poliziotto Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone, che guidò le tre Fiat Croma blindate dalla caserma “Lungaro” fino a Punta Raisi, aeroporto di approdo del magistrato proveniente da Roma. Ganci telefonò a Giovan Battista Ferrante, mafioso di San Lorenzo. Questi era appostato all’aeroporto, per segnalare l’uscita dalla caserma di Montinaro e degli altri agenti di scorta.

La dinamica dell’attentato

Falcone, appena sbarcato dall’aereo si sistema alla guida della Fiat Croma bianca e accanto prende posto la moglie Francesca Morvillo mentre l’autista giudiziario Giuseppe Costanza va a occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone c’è alla guida Vito Schifani, con accanto l’agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo, mentre nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le auto imboccarono l’autostrada A29 in direzione Palermo.

Nel frattempo, Gioacchino La Barbera (mafioso di Altofonte) seguì con la sua auto il corteo blindato dall’aeroporto di Punta Raisi fino allo svincolo di Capaci, mantenendosi in contatto telefonico con Giovanni Brusca e Antonino Gioè (capo della Famiglia di Altofonte), che si trovavano in osservazione sulle colline sopra Capaci.

Il momento dell’eccidio

Tre o quattro secondi dopo la fine della loro telefonata, Brusca azionò il telecomando che provocò l’esplosione di 1000 kg di tritolo sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada: la prima auto, la Croma marrone, venne investita in pieno dall’esplosione e sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi a più di dieci metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo; la seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo rallentato, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio.

Falcone e la moglie, che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati contro il parabrezza; rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che infine resiste. Si salvano miracolosamente anche un’altra ventina di persone che al momento dell’attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell’eccidio. La detonazione provoca un’esplosione immane e una voragine enorme sulla strada.

La morte

Giovanni Falcone viene trasportato sotto stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell’Arma dei Carabinieri presso l’ospedale civico di Palermo, dopo circa 20 minuti. Muore dopo due vani tentativi di rianimazione. Alle 22.00 muore anche la moglie Francesca Morvillo. Si tratta dell’unico magistrato donna trucidato dalla mafia. La salma del magistrato italiano venne tumulata in una tomba monumentale nel cimitero di Sant’Orsola, a Palermo. Nel giugno 2015 la salma venne poi traslata nella Chiesa di San Domenico situata nel capoluogo siciliano.

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